Il Decreto legge n. 76/2020 recante “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale”, convertito con modificazioni dalla Legge n. 120/2020, interviene, all’articolo 43, anche sul settore agroalimentare, con abrogazioni e modifiche aventi principalmente a riguardo il testo dell’art. 1 del Decreto legge n. 91/2014 cd. “Campolibero”, convertito con modificazioni dalla Legge n. 116/2014. Primario oggetto di intervento è infatti l’istituto della diffida, relativamente al quale la riforma si colloca in senso indubbiamente estensivo, ampliandone i presupposti di accesso.
Ciò anzitutto sul piano soggettivo, ove alle “imprese agricole” sono aggiunte le “imprese alimentari e mangimistiche”, ma in maniera ancor più significativa la riforma interviene sui presupposti più strettamente operativi dell’istituto, modificando il comma terzo della medesima disposizione. Dei tre requisiti previgenti viene mantenuta, quale principio imprescindibile di accesso alla diffida, la sanabilità della condotta, quindi una previa valutazione positiva circa la possibilità, per l’operatore, di regolarizzare l’illecito commesso ed eliderne le conseguenze dannose o pericolose. Rimossa è invece la previsione della “sola sanzione amministrativa pecuniaria”, così includendo nel novero degli illeciti diffidabili anche quelli puniti con sanzioni accessorie alle pecuniarie (per esempio la chiusura dello stabilimento, o la sospensione del diritto all’uso della denominazione protetta fino alla rimozione della causa dell’illecito, sebbene a quest’ultima sanzione fosse già stata riconosciuta natura autonoma dall’Avvocatura dello Stato). L’ampliamento del campo di operatività della diffida è poi dettato dalla scelta di elidere anche il presupposto che la violazione fosse commessa “per la prima volta”: in questo modo l’impresa, che ha già beneficiato della diffida, potrà accedervi nuovamente anche per sanare una violazione della medesima disposizione (mentre in precedenza si riconosceva tale possibilità solo in caso di violazioni di disposizioni diverse).
Ulteriore rilevante elemento di novità in termini espansivi è quanto successivamente esplicitato nel testo circa le condotte sanabili, ovverosia “errori e omissioni formali che comportano una mera operazione di regolarizzazione, ovvero violazioni le cui conseguenze dannose o pericolose sono eliminabili anche tramite comunicazione al consumatore”. Per mezzo di detta previsione si consente, infatti, alle imprese, di sanare le violazioni commesse sia antecedentemente, sia successivamente all’acquisto del prodotto, essendo la diffida applicabile anche ai prodotti già posti in commercio. Dunque sarà possibile, per esempio, ritirare le partite già immesse in commercio, oppure rivolgersi direttamente al consumatore finale – questa novità la più rilevante – mediante il mezzo di comunicazione ritenuto più congruo.
Viene, infine, notevolmente esteso (dai venti della precedente formulazione a non più di novanta giorni) il termine entro cui l’operatore può procedere all’adempimento delle prescrizioni violate in seguito alla diffida, introducendo la possibilità di presentare anche specifici impegni a tal fine. L’istituto, nell’attuale formulazione, deve quindi intendersi come operante in senso sospensivo del termine per la successiva notificazione della avvenuta violazione ex art. 14 L. 689/81, altrimenti difficilmente conciliabile in quanto anch’esso di novanta giorni.
In conclusione, appare evidente la scelta di alleggerire le imprese agricole, ed accanto ad esse le imprese alimentari (con tale specifica sono definitivamente fugati i dubbi interpretativi sorti in precedenza circa l’operatività della diffida) e mangimistiche, dal carico sanzionatorio. Tuttavia, se l’intervento è da considerarsi lodevole in un’ottica di diritto emergenziale e prevenzione delle controversie, nonché nel particolare contesto storico-economico in cui si trovano attualmente, non senza difficoltà, ad operare le aziende agroalimentari, non possono non sorgere dubbi circa la concreta operatività della diffida in termini così ampliati, richiedendo una maggiore responsabilità e capillarità dell’ente di controllo nell’accertamento concreto sia dei presupposti sia, successivamente, dell’avvenuta regolarizzazione. Non tralasciando l’estensione alla delicata materia alimentare, nella quale tutto è da auspicarsi fuorché un alleggerimento sanzionatorio degli illeciti.
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